Tra party, serate e gite in giro per il Paese, trovano una sorta di Paradiso Terrestre che sono costretti ad abbandonare. Colta la mela, vengono precipitati nell’Inferno della realtà quotidiana, fatto di orari, scadenze, sveglie mattutine. Si ritrovano catapultati nella giungla della loro vita vera, dalla sera alla mattina, direttamente senza passare dal Via. Perchè alla fine gli studenti Erasmus non fanno niente. Vanno in Erasmus proprio per non fare niente. Come dire, una vacanza. Un meritato riposo dopo gli anni passati a sopportare stoicamente le disorganizzazioni croniche delle università italiane, una spa dove rigenerare i nervi contratti.
Ecco, questo non in Inghlterra. Che, chissà per quale ragione (questi inglesi si devono sempre distinguere), non contempla questa procedura. E quando partirete dovrete mettere in conto notti insonni sui libri, pile di volumi da leggere, montagne di saggi da scrivere, e meschine cene davanti al pc con un sandwich. Perché in Uk, o almeno all’università di Warwick, tu studente Erasmus sei trattato esattamente come tutti gli altri, considerato precisamente come un qualsiasi ragazzotto inglese. Loro non fanno distinzioni. E non vale la regola “Prof, I’m Erasmus“ per beccarti un 30 e lode, perché loro sono corretti. Talmente trasparenti che gli esami li correggono anonimi, per evitare che la personalità dell’allievo influenzi il voto finale. Perché tu la tua personalità la devi abbandonare. La devi incatenare in un angolino e omologarti a tutti gli altri 5 mila studenti che come te frequentano l’università.
Qual è il metodo di esaminazione inglese? Molto semplice: attenersi alle regole. Che mica è semplice, eh! In sostanza, durante l’anno scolastico lo studente inglese medio frequenta dai 4 ai 6 corsi, che si trascina da ottobre a giugno, e sui quali viene valutato nel corso dei mesi attraverso gli essays, ovvero brevi (brevi è una parola) saggi di una lunghezza variabile dalle 2 alle 5 mila parole ciascuno che lo studente inglese medio deve scrivere approfondendo un argomento del corso. A fine anno, i voti degli essays redatti (che di solito variano da un minimo di 2 ad un massimo di “non c’è un massimo, non ne scriverai mai abbastanza”) faranno media con l’esame finale, che consisterà in una prova scritta di 2 ore durante la quale lo studente inglese medio dovrà sostanzialmente scrivere l’ennesimo saggio, solo con meno tempo e più ansia addosso.
Difetti di questo sistema? Apparentemente nessuno. Gli inglesi scrivono tanto e parlano niente, gli esami li danno solo a giugno e durante l’anno fanno fondamentalmente poco, scrivendo saggi in un pomeriggio, tanto sono abituati. Il problema si presenta per lo studente Erasmus medio, che di saggio non ne ha mai scritto uno e il cui inglese accademico è solitamente medio-basso. Si ritrova di fronte ad un saggio di 5000 parole da scrivere senza avere idea di cosa scrivere e di come farlo, perchè li nessuno glielo spiega. E allora lo inizia un po’ a modo suo, lo colora un po’ qua e un po’ là, gli da un’impronta personale, gli regala quell’aura a metà tra una fiaba e una chiacchierata tra amici, pensando che, in fondo, lui è Erasmus. Niente da fare, questi inglesi proprio non lo vogliono capire. E hanno pure il coraggio di dirti che il tuo inglese è un po’ imperfetto e che fai ancora errori di sintassi. Vabbè.
Il punto è che mentre da noi l’originalità è premiata, quassù è aborrita. C’è tutta una rigida struttura da seguire per la redazione di un essay, che deve essere diviso in capitoli/sezioni/paragrafi, deve contenere tot numero di citazioni/approfondimenti/note a pie’ pagina, e nell’introduzione devi già rivelare la conclusione (cosa per me ancora inconcepibile). Esiste perfino un sito nel quale sono riportate tutte le loquzioni, i connettivi, le congiunzioni da utilizzare. Perché ogni parola ha una sfumatura di significato diversa, e se ne usi una piuttosto che un’altra, a detta loro, stravolgi il saggio.
Imparano a scrivere, questo è indubbio. E soprattutto imparano a formarsi un’opinione e a non aver paura di esporla, attraverso questo sistema di saggi accademici che, da noi, purtroppo ancora scarseggia. Ma il sistema scolastico italiano insegna agli studenti un’arte preziosa: quella della parola, che gli inglesi, con tutti i loro bei saggi e nessun esame orale, hanno difficoltà a sviluppare. Italiani, popolo di grandi oratori e affabulatori, siamo o non siamo i discendenti di Cicerone? Personaggio che se nomini agli inglesi, ti risponderanno “Cicerone chi?”. Appunto.
Originariamente scritto in data 7/04/2012 su www.giovaninrete.it, La mia valigia Erasmus
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