Ok, sono ufficialmente innamorata. Di un luogo. È forse possibile? All’inizio credevo fosse solo l’euforia del cambiamento, ma ora, a distanza di una settimana, mi rendo sempre più conto che qui potrei viverci per sempre.
Non so cosa sia esattamente, se la perfetta organizzazione dell’università, la pulizia delle aule, l’aria amichevole che si respira, l’unione di tante nazionalità diverse, l’assenza totale di qualsiasi pregiudizio, ma ci si sente davvero parte di un qualcosa di grande. Ci si sente cittadini del mondo.
Qui a nessuno importa da dove vieni, in cosa credi e in cosa non credi, nessuno è spaventato dall’elemento”altro”, mentre spesso in Italia la xenofobia è davvero troppo persistente. L’Inghilterra è un paese multietnico, nessuno ti giudicherà mai per come sei abbigliato, per la forma dei tuoi occhi o per il colore dei tuoi capelli.
“Viaggiare è un po’ come morire” diceva Nicolas Bouvier, perché viaggiando, incontrando persone nuove, venendo a contatto con diverse culture, si comprende come il proprio modo di vivere sia del tutto relativo. E così ci si spoglia dei luoghi comuni che imbozzolano i neuroni, per rinascere profondamente modificati.
Sono partita dall’Italia con la paura di non essere accettata, con il timore di non riuscire a integrarmi, con l’ansia di dover dimostrare qualcosa. E ora sono qui, sdraiata in mezzo ad un parco del campus, con il vento che mi scompiglia i capelli, a sorridere a chiunque e comunque. Con la certezza che (per citare John Donne) "Nessun uomo è un'isola", che chi si rinchiude ostinatamente nelle proprie convinzioni è destinato a soccombere a se stesso.
Voglio davvero godermi ogni singolo istante di questa esperienza, voglio davvero sentirmi cittadina del mondo.
Originariamente scritto in data 12/10/2011 su www.giovaninrete.it, La mia valigia Erasmus
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