27.4.13

La perfetta globetrotter e l'irlandese che conosce il piemontese

E finalmente… reading week! Ovvero, settimana di stacco dalle lezioni. E stacco vuol dire riposo, riposo vuol dire tempo libero, tempo libero vuol dire viaggiare. Da quando sono qui all’Università di Warwick il mio lato globetrotter si è sbizzarrito in mille diverse destinazioni, cosicché ho maturato una certa conoscenza su usi e costumi degli individui che popolano le lande britanniche e non solo. Dopo aver calpestato Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda, posso stilare una rudimentale lista di cose da sapere quando ci si approccia a tali realtà.


Innanzitutto, la lingua. Ci metti mesi a decifrare la parlata da fagioli in bocca tipica degli inglesi, poi arrivi in Scozia e devi ricominciare tutto da capo. Per non parlare del Galles. Lì addirittura ti parlano in gallese, che è simile al germanico medievale, solo un po’ più complicato. Un altro paese in cui vanno fieri della loro parlata originaria è l‘Irlanda, dove il gaelico è studiato nelle scuole come materia obbligatoria sin dalle elementari e la conoscenza del quale ti assicura un posto al Trinity College di Dublino. Stai per sbattere la testa al muro dalla disperazione? Non ce n’è mica bisogno. Basta farsi furbi, ovvero imparare l’unica parola che agli irlandesi interessa e che ti aprirà tutte le porte: “Slainte!“(pronuncia: Sloncia), ovvero “Cheers!”.

Altro punto dolente: il cibo. Si sa che il Regno Unito non è famoso per la sua prelibata culinaria, ma si può sempre cadere più in basso. Per esempio quando ti ritrovi in un pub scozzese e decidi di assaggiare la specialità del paese, dal nome così melodioso, allegramente ignara del significato di un certo ingrediente, che si rivelerà fatale all’arrivo del piatto, quando ti ritroverai di fronte a interiora di montone. Consiglio: il vecchio e caro hamburger non delude mai.

Altra problema spinoso, il denaro. Finalmente ti eri abituata a distinguere le cento monetine inglesi, poi giungi a Dublino e devi riusare l’euro. E il guaio è che non ti ricordi più come è fatto un pezzo da 50 cent. Tutto questo per poi arrivare, finito il soggiorno, all’autogrill inglese alle 2 di notte a pagare con una moneta da 2 euro, e a sentirti rispondere: “Non accettiamo euro qui, mi spiace”. Ed è in quel momento che allora sfoggerai la tua faccia da italiana media e cercherai di spiegare mezza addormentata in inglese al tizio alla cassa che riconosce che sei inconfondibilmente del Bel Pese che in realtà tu le sterline le hai sempre usate, poi sei stata in Irlanda ed è stato devastante, e che comunque è anche una certa.

E spenderei anche due parole sull’argomento trasporti. Finché ti muovi per il Regno Unito il bus ci sta anche, è la soluzione più economica e non ci mette molto più del treno. Passi anche per il Galles, che tanto è vicino a Bristol. Ma 8 ore di Coventry-Edimburgo in pullman è voler farsi violenza da soli. Cosa che ovviamente abbiamo fatto. E il fondo lo abbiamo toccato con 12 ore di Coventry-Dublino via bus e via ferryboat. Praticamente il viaggio della speranza. Consigliato solo se si vuole ardentemente provare l’ebbrezza della traversata oceanica.

E infine, la gente. Gli inglesi si sa come sono. Più volte sono stati protagonisti delle mie lodie delle mie lamentele, con la loro gentilezza a volte troppo ostentata, la loro puntualità, la loro riservatezza, che a volte si trasforma in freddezza. Gli scozzesi sono folli, gli irlandesi sono da amare. Così “caldi”, così aperti, così socievoli, non ti ignoreranno mai, saranno sempre pronti a scherzare insieme a te e a bere alla tua salute. E poi, quando trovi per strada un irlandese che ha vissuto a Torino e che ti parla in piemontese, ti si apre il cuore.



Originariamente scritto in data 22/02/2012 su www.giovaninrete.it, La mia valigia Erasmus 

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