Qual è la cosa di cui si sente più la mancanza all’estero? Da italiana, non può che essere la buona cucina. E quando un inglese vuole avere la presunzione di cucinarti la pasta, allora capisci che è arrivato il momento di rimboccarti le maniche, legarti un grembiule in vita, e buttare gli spaghetti.
Chi glielo spiega agli inglesi che il ketchup non può essere il sostituto della salsa al pomodoro? E che non è necessario far cuocere la pasta per delle mezze ore, bastano pochi minuti? Ecco, sono questi i momenti in cui realizzi che hai davanti a te ancora sei lunghi mesi di paste scotte e salse improbabili, e che, in fin dei conti, la tua patria non è poi così male.
Per non parlare del resto del cibo. Qui sembra vigere una sola regola: friggere. Qualcuno una volta ha detto che il cuoco mediocre si nasconde dietro chili di frittura per mascherare l’assenza di sapore dei suoi piatti. Ecco. L’altro giorno ho ordinato un semplice sandwich, e me l’hanno portato accompagnato da una montagna di stecchini di un colore non ben indentificato, fritti naturalmente. Solo dopo, assaggiandoli, ho realizzato che non erano patate, ma carote. Che di carote avevano un lievissimo retrogusto, perché sepolto dal predominante sapore di unto.
Ma poi gli inglesi si devono sempre distinguere. Perché mai guidano dall’altra parte quando il resto del mondo fa il contrario? Anche le porte si aprono dalla parte opposta. E le finestre. E perché non possono adottare sta moneta unica una volta per tutte? Io ancora ho difficoltà a distinguere le sterline.
Soprassedendo l’ahimè nota mancanza di tutti i sanitari (mi avete capito), altra questione interessante riguarda l’arredamento delle abitazioni. Moquette. Moquette ovunque. Moquette in camera da letto, moquette nelle aule, moquette in cucina, persino moquette in bagno. E, si sa, la moquette non è propriamente la pavimentazione migliore da pulire. Ma si sa che gli inglesi non sono famosi per la loro pulizia.
E poi, ovviamente, manca il clima mediterraneo. Torino non avrà il tepore di Palermo, ma non ti costringeva comunque al cappotto a inizio ottobre. Ma questo fatto, gli inglesi sembrano non notarlo, e girano costantemente sbracciati, seminudi come degli dei greci. Con il vento che ti trapassa da parte a parte (quanto piango le amate Alpi, scudo contro le correnti), intabarrata nei tuoi dodici strati di vestiti e con il naso gocciolante, loro ti guardano, serafici, e ti chiedono: “Are you italian?”. Da cosa l’avranno capito?
Originariamente scritto in data 21/10/2011 su www.giovaninrete.it, La mia valigia Erasmus
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