27.4.13

Take it easy: la filosofia inglese

È ormai passato un mese da quando mi trovo qui in Uk, e posso dire di aver cominciato ad entrare pienamente nel mood inglese. Mi sto pian piano abituando alle loro stravaganze e alla loro guida al contrario (a causa della quale prima, invece, rischiavo il trapasso a miglior vita ogni volta che mettevo il naso fuori di casa), e sto onorando a dovere le loro festività e tradizioni.

Innanzitutto il freddo. La mia capacità di adattamento alle temperature artiche e al vento siberiano sta nettamente migliorando, ed ora, a inizio novembre, non sento più la necessità di bardarmi come l’omino Michelin.

Posso inoltre dire di aver celebrato il mio primo originale english Halloween, festa che nasce in Inghilterra ma che è stata esportata in tutto il mondo. Qui l’attesa e lo spirito halloweenesco si fanno sentire parecchio, tanto da captarne l’eccitazione anche negli insegnanti, che il 31 mattina, conclusa la lezione, ti augurano “Buon Halloween!”. Salvo poi non far festa il 1° novembre, che invece in Italia è di rigore. Ebbene sì, gli stakanovisti britannici lavorano anche il primo novembre, per la gioia degli studenti, aggiungerei. Stranezze inglesi.

Una cosa che ammiro molto degli inglesi è il loro essere so easy [così rilassati]. Il loro semplificarsi la vita. Questa loro peculiarità la si riscontra soprattutto nel rapporto professori/studenti. Parti dall’Italia portandoti dietro tutto il tuo ingombrante bagaglio di convenzioni sociali, frasi di riguardo, timori reverenziali, abituata come sei ad un’immagine dell’insegnante universitario simile ad un dio immortale (nel senso letterale del termine, come dire, agée) cui offrire sacrifici (di solito la tua testa agli esami). E poi arrivi qui, ti trovi davanti una teenager di neanche 30 anni, cattedra fissa, che ti chiama Vicky, lei si chiama Madeline ma ti dice di chiamarla Maddie, mangia la pasta mentre analizza “I Dolori del Giovane Werther” e applaude a tutto ciò che dici foss’anche la stupidaggine più grossa a questo mondo ma lo fa perché hai avuto il coraggio di aprire bocca nel tuo inglese maccheronico di fronte ad una platea di rampolli oxfordiani, ebbene, tutte le tue certezze si sgretolano. Allora esiste una parità sociale. Le retrive regole di sottomissione italiane, per fortuna, nascono e muoiono in Italia. Però è quel muoiono che mi preoccupa. Perché in Italia sta proprio morendo tutto. Come è possibile che qui il professore più vetusto abbia 40 anni, mentre a quell’età nel Bel Paese si comincia ad insegnare, forse, da precari? Forse per lo stesso motivo per il quale in Italia nessuno si azzarderebbe a chiamare con soprannomi gli imponenti professoroni.

E ho capito una cosa: che qui dare spazio ai giovani è del tutto normale. E l’ho compreso quando, praticamente con le lacrime agli occhi dal ridere, ho osato dire al presidente del mio corso di laurea (che, tra l’altro, non raggiunge i 40) che nel mio Paese, se va bene, si inizia ad avere un po’ di considerazione alla soglia della terza età, e lui, con uno sguardo serissimo m ha risposto: “Non mi importa cosa sai, ma cosa puoi sapere e quanto ci metti a saperlo”.



Originariamente scritto in data 3/11/2011 su www.giovaninrete.it, La mia valigia Erasmus

1 commento:

  1. Ottimo blog, e ottimo post. Moltissime cose sono vere. Diciamo però che la "parità sociale" in UK viene vista in modo un po' diverso da quello che immagini. Comunque il nostro vecchiume è anni luce indietro.

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